Montane Yukon Arctic Ultra, Canada 2018

30/01/2018 Whitehorse

Lunga notte di nausea e mal di pancia. Riesco a dormire solo 5 ore.
La colazione mi preoccupa: alla fine rimedio un pessimo muffin e dello yogurt, sempre meglio che patate al forno riscaldate e pancetta fritta!
Breve passeggiata in centro per recuperare il carburante del fornello (distribuito gratuitamente nel negozio di articoli sportivi).
In hotel conosco gli altri italiani: ovviamente fanno tutti la 300, io mi sento un po’ lo sfigato di turno che si fa la “corta”!
Ma più capisco come funziona, più mi rendo conto di avere fatto la scelta giusta: con la 100 “prendi la misura” e capisci come gestire il freddo per poi –eventualmente- affrontare un’altra volta la 300 con senso.
Fare subito la 300 è un po’ azzardato, può andarti di culo ma si tratta solo di culo!
Controllo e consegna documenti, riesco anche a farmi cambiare l’accendino (nel dubbio non lo provo!) e capire come funziona lo spot GPS.
Se non chiedevo non sarei mai riuscito a inviare l’SOS (bisogna aprire uno sportellino!).
Iniziamo il famoso corso di sopravvivenza, ovviamente in inglese.
Siamo solo in 8, è però abbastanza interessante e comprensibile!
Descrizione del percorso, errori da evitare, rimedi da adottare… in pratica nel dubbio bisogna sempre fermarsi, bere, mangiare e mettersi a nanna! Mi sembra un’ottima tecnica, da adottare anche nella vita di tutti i giorni.
La parte in aula finisce alle 15:30, due ore di pausa e alle 17:30 si parte per testare i materiali.
Breve tragitto in macchina e poi escursione bardati di tutto punto.
Alle 18 è praticamente buio, c’è però una magnifica luna.
Nelle prossime notti dovrebbe essere più sereno e quindi più luminosa, la frontale è inutile.
Questo corso è un po’ una menata ma alla fine è utile: è l’unica occasione per testare buona parte dei materiali prima della gara.
Mi accorgo subito che:
– con l’imbragatura in dotazione è impossibile portare anche il marsupio, devo trovare una soluzione alternativa.
– Il sistema di traino con le barre rigide è parecchio scomodo, soprattutto se corri.
Ogni ondeggiamento o strattone della slitta si ripercuote sulle anche, non puoi girarti e se devi prendere qualcosa nella slitta devi sganciare tutto. Domani valuterò se sostituire questo sistema con una corda, così come provato a casa.
– Ho freddo ai piedi: penso però sia colpa dei calzini di cotone che uso insieme ai calzettoni. Dovrò non usarli o cercarne un paio in lana fine.
Temperatura di -20°, abbastanza gestibile anche se però mi sto muovendo con il piumino addosso.
Dopo una breve passeggiata e una salita, tanto per sudare un po’, ci fermiamo per provare a fare tutto.
Accensione fornello, accensione fuoco di legna, preparazione e utilizzo sacco a pelo.
Tutto bene, fornello e fuoco partono al primo colpo e riesco a lavorare tenendo i guanti leggeri addosso.
Provo il sacco a pelo ed è veramente comodo: riesco finalmente a scaldarmi i piedi togliendomi scarpe e calze.
Chiaro che le stesse cose fatte da stanco e sudato saranno un’altra cosa.
Per le 21 rientriamo in hotel e ceniamo.
Con quest’incognita della caviglia non riesco a godermi queste giornate e mi rimane un grosso punto interrogativo sulla gara di giovedì.

31/01/2018 Whitehorse

Continuo a dormire poco… un po’ il fuso, un po’ il caldo in camera, un po’ la voglia di leggere…
Alla fine alle 6 mi alzo, mi mangio una barretta ché c’ho fame e mi faccio un caffè.
Gran casino in camera, sono di nuovo da capo!
Ho tirato fuori tutta la roba usata ieri sera e ora bisogna fare il carico finale.
Alle 8 il de briefing del corso di ieri, piccola pausa e briefing ufficiale con tutti per informazioni generiche sulla gara.
Ultimi acquisti dettati dall’esperienza di ieri sera: calzettoni fini ma di lana da accoppiare ai miei, ulteriore sacca per tenere fornello e carburante separato dal resto, cordino per trainare la slitta al posto delle barre.
Fra una cosa e l’altra la giornata scorre, varie prove di carico slitta e traino in corridoio.
Cena “sobria” e a nanna sperando di non svegliarsi troppo presto.

01/02/2018 Whitehorse – verso Dog Grave Lake

Finalmente si parte. Adesso poche storie, un paio d’ore e finalmente capirò che mi aspetta.
Dormito poco anche stanotte, purtroppo. Queste ore mancate di sonno le pagherò mi sa…
Niente colazione “seria”: mi mangio un po’ di biscotti in camera e mi faccio il caffè.
Alle 9:30 consegniamo la slitta che ci verrà portata sul luogo della partenza, m’incammino con Stefano.
Stamattina è sereno ma più freddo del solito.
Ho provato a indossare solo i pantaloni da skialp ma approfitto del riparo vicino alla partenza per aggiungere la calzamaglia sotto: ho paura di sudare correndo ma l’idea di cambiarmi lungo il percorso mi alletta ancora meno.
Finalmente si parte: mesi di preparazione, seghe mentali, dubbi e sogni si condensano in quel breve conto alla rovescia ed esplodono con il via.
Il primo chilometro a questa temperatura mi getta nel panico: ho i piedi freddi, non riesco a infilarmi una moffola, l’aria mi blocca i polmoni.
La sensazione è quella di tuffarsi in mare aperto dove l’acqua è nera e non vedi nulla sotto o nell’acqua gelida.
Il primo impatto è devastante e ti assale il panico… poi, dopo un po’, ti accorgi che galleggi, che si può fare… oddio, non è il massimo ma si sopravvive.
E qui è così… impiego alcuni chilometri per prendere un ritmo di corsa, per sentire i piedi tornare caldi e farmi prendere dall’euforia.
Sì, perché come in tutte le altre gare lunghe, dopo il panico iniziale subentra l’euforia, la voglia di cantare, di correre, di registrare questi attimi e sperare (illudersi) che durino per tutta la gara.
Oltre a noi ci sono i concorrenti della Marathon: non mi sembrano molto agguerriti e nonostante la slitta ne supero alcuni.
Stiamo correndo sul fiume Yukon gelato: fa effetto, ogni tanto si sente il rumore di vuoto sotto i nostri passi o strani scricchiolii. Eppure regge, certo che regge… ci sono passati con le motoslitte.
Mentre il morale sale e continuo a canticchiare riesco a fare anche qualche ripresa con la gopro anche se le batterie accusano il freddo.
Arrivo al finto CP: abbiamo fatto circa 20 km e –dove la nostra traccia lascia lo Yukon per un affluente laterale e incrocia la strada- c’è un po’ di tè e acqua calda.
Finora ho corso a vista con un danese della 300, superandoci più volte a vicenda.
Dopo la breve sosta di nuovo su un fiume verso il CP vero.
Correre su un fiume gelato in queste condizioni è magnifico: in piano, fondo duro (ghiaccio) coperto da 20 cm di neve fresca battuta dalla motoslitta.
Non fosse per i chilometri ancora da fare verrebbe voglia di allungare un po’.
Infine ecco il check point di Muktuk.
Pieno di cani, sarebbe bello gironzolare e guardarsi un po’ attorno ma “l’ansia da check point” mi piglia e cerco di scappare al più presto.
Dentro è veramente accogliente, un bel rifugio, i 20° sono soffocanti e bisogna svestirsi rapidamente.
Trangugio velocemente un gulasch con patate, caffè e dolce senza nemmeno rendermi conto che sarà l’ultima sosta seria per un bel po’, mi controllano lo spot che sembra non funzionare (hanno ricevuto segnalazioni da casa… chissà che casino avranno combinato!), controllo medico a dita di mani e piedi e si riparte.
Ormai il sole è basso (in realtà è sempre basso, infatti l’effetto solare è più psicologico che termico) e fra poco saremo soli: il percorso maratona è terminato e di notte si fermeranno anche le motoslitte.
Io e il danese stiamo praticamente correndo insieme ora che è quasi buio, senza esserci nemmeno parlati abbiamo coordinato le soste per mangiare e bere e ci “controlliamo” (in senso positivo) a vicenda.
Come in altre gare anche qui c’è il momento di disagio al crepuscolo per poi passare alla tranquillità della corsa in notturna, con lo sguardo concentrato nel cono di luce della frontale.
Sono sempre abbastanza svestito, cerco di tenermi “fresco” per non rischiare di sudare.
Maglia intima, pile e ora aggiungo il piumino leggero.
Dopo un po’ lasciamo il fiume per iniziare un sentiero in salita, ci sono cartelli escursionistici.
Purtroppo la neve –seppur compattata dal passaggio delle motoslitte- è meno scorrevole che sul fiume e offre parecchia resistenza alla slitta.
Quando chiedo a Nikolaj –che già aveva fatto la gara l’anno scorso senza finirla per congelamento- quanto manchi al CP mi risponde “almeno 8-10 ore”… com’è possibile?
Io avevo calcolato molto meno… se ho impiegato 5 ore per i 42 km del primo CP, per questo immaginavo al limite un paio d’ore in più, non più del doppio.
Nikolaj ed io ci alterniamo in testa, ognuno con il suo passo. Io un po’ più regolare lui a scatti ma si prosegue. Davanti a noi solo un concorrente, ne vediamo le impronte.
Ogni ora ci fermiamo per bere e mangiare qualcosa, inoltre è tutto oggi che continuo a fare tantissime soste pipì… un po’ il freddo, un po’ tutta l’acqua calda bevuta, un po’ l’imbrago che schiaccia la vescica.
A un certo punto Nikolaj decide di fermarsi per dormire: lui fa la 300, sperava di fare una tirata unica fino a Braeburn per dormire al caldo. L’anno scorso gli è partito il congelamento proprio perché si era fermato a dormire prima di Dog Grave Lake.
Continuo solo ma non mi dispiace: purtroppo sono molto lento e stanco.
Mi rendo conto che avevano ragione Danilo e Giorgio: è fondamentale una preparazione muscolare piuttosto che “fare fiato”.
A queste temperature e con la slitta non si tratta di avere fiato ma muscoli, sono tutto indolenzito soprattutto glutei e polpacci, prossima (?) volta tante gite con copertone e palestra.
Anche il sonno inizia a prevalere, la situazione non aiuta.
Sono in salita quindi un passo lento per avanzare con la slitta, la vista è limitata oltre che dal cono di luce della frontale anche dal cappuccio (mi sono messo il piumino pesante) e le ciglia gelate. Quindi avanzo guardando il metro quadro di neve davanti ai miei piedi, non saprei dire se sono in un bosco o in una radura, se ci siano le stelle o meno.
Ogni tanto mi fermo appoggiato ai bastoncini e mi accorgo di fare dei brevi sonni/sogni roba di meno di un minuto ma che mi portano lontano da lì.

02/02/2018 Dog Grave Lake

La “lunga notte” continua. E’ brutto non avere riferimenti chilometrici come nelle altre gare, non sai gestirti. L’unica cosa che mi hanno detto è che avrò una salita di 8 km e poi un piano di 8 km prima del CP.
Sì ma cosa intendono per salita? E poi è tutto un munta-cala, sarò già nel piano?
Inizio ad avere freddo ai piedi e –come tutto in queste condizioni- diventa un problema.
Decido di fermarmi, provare a cambiare scarpe e calze. Ovviamente ci va tempo e le mani nel frattempo si raffreddano velocemente solo con i sotto guanti di lana.
Idem per i piedi che si trovano scoperti e poi infilati dentro scarpe e calze che stavano in freezer (-35 credo) e le chiappe che si siedono sulla slitta.
Appena parto mi rendo conto che le doppie calze sono troppo spesse, mi devono già essere gonfiati i piedi e avere i piedi troppo stretti con ’sto freddo è deleterio.
Quindi mi rifermo, rismonto tutto e metto solo un paio di calze. Sento sempre più freddo a mani e piedi.
Ormai anche le 8-10 ore prospettate da Nikolaj sono passate da parecchio e del CP manco l’ombra.
Sono ore che non vedo una balise: sì mi conforta le tracce dei piedi che vedo davanti ma inizia a venirmi il dubbio di avere sbagliato strada.
Nelle condizioni in cui sono potrei non avere visto un bivio -spesso mi sono accorto di camminare a occhi chiusi e sbandare sulla pista- o aver passato il CP senza averlo visto.
Che fare? Più continuo più mi allontano nel caso abbia sbagliato strada.
Inoltre non saprei come gestire un’eventuale emergenza o anche solo richiesta di recupero: il mio spot fino al CP precedente non funzionava. Adesso funziona?
Se schiaccio il tasto per essere recuperato da una motoslitta ovviamente devo fermarmi e aspettare ma non si riceve nessuna conferma di ricezione: se non funziona lo spot rimango lì fermo come un cretino ad aspettare nessuno.
Provo a guardare la cartina ma è talmente generica che non c’è nessun riferimento che possa aiutare né curve di livello.
In ogni caso devo riposare e l’unica è nel sacco a pelo.
Quindi cerco un posto un po’ “caldo” sotto degli abeti, metto il nastrino giallo ai miei bastoncini sul sentiero (indica alle motoslitte di fermarsi e svegliarmi) e provo a sistemare materassino e sacco a pelo.
Talmente freddo che devo mettere tutto dentro per non far gelare nulla: scarpe, guanti e piumino. Io ci entro a malapena.
Purtroppo quel poco di calore accumulato camminando l’ho perso nel montare il sacco a pelo e inizio ad avere freddo sul serio, altro che dormire.
Però fra un paio d’ore c’è luce e –se la strada è giusta- dovrebbe passare qualche motoslitta, quindi cerco di resistere qui.
Dopo meno di mezz’ora ecco una luce che avanza nel bosco: è Nikolaj!
Anche lui non è riuscito a dormire ed è ripartito quasi subito, mi conferma che il CP è più avanti quindi gli dico di continuare tranquillo e non aspettarmi mentre mi risistemo la slitta.
Freddo freddissimo a piedi e mani, m’incammino mentre s’intravvede un po’ di luce a est.
Infine ecco il famigerato CP di Dog Grave Lake, un po’ barcollo mentre mi tolgo l’imbrago, un po’ capisco niente delle cose che mi dicono e già l’infermiera vuole portarmi nella tenda medica!
Poi ci capiamo e me ne vado nella tenda “sosta” dove ritrovo Nikolaj attaccato alla stufa con problemi di congelamento ai piedi.
Mi godo il caldo per un’oretta, mangio un pasto lio e mi offrono una specie di pasta su cui non indago ma che scalda e riempie.
Ho male dappertutto ma decido di ripartire, qualcosa sarà…
No, non si può. Devo aver perso qualche “dettaglio” del dialogo: temperature troppo fredde sul percorso, dobbiamo stare fermi qui ad aspettare.
Mah… partendo adesso abbiamo davanti le ore “più calde”, ritardare vuol dire più ore di notte.
Per alcuni versi però sono contento e anche fortunato. Sono arrivato abbastanza cotto e un po’ di riposo e un po’ di cibo non può che farmi bene.
Cerchiamo di sistemarci un po’ meglio nella tenda anche se è difficile: è solo un telo senza pavimento, c’è neve e ghiaccio eccetto che per un metro intorno alla stufa.
Sistemiamo rami di abete per terra per isolarci, ci sediamo su alcuni ceppi e ci godiamo la parvenza di tepore. Nel frattempo ci raggiunge anche Jovica, il serbo che stanotte non vedendo nessuna luce al CP ha fatto che proseguire per poi tornare indietro dopo un po’.
La giornata scorre lenta, seduti scomodi cercando di capire che decisioni prenderanno: l’idea di passare la notte qui non mi alletta per nulla, preferirei rimettermi in cammino.
Nel frattempo arriva qualche altro concorrente ma le notizie sono di parecchi ritiri, rimaniamo in gara una quindicina di persone immagino.
Man mano che arrivano ci stringiamo sotto questa tendina… sarà una lunga (e fredda) notte.
La sera le temperature scendono ulteriormente, verso le 17 siamo già tutti nei sacchi a pelo per dormire e –purtroppo- si spegne la stufa.
Mi vengono in mente le varie tragedie in Antartide, i superstiti del dirigibile Italia sotto la tenda rossa e sorrido tra me.
La temperatura scende rapidamente (ulteriormente) parecchio sotto zero, il riparo di questo singolo telo di cotone effimero.
Mi ritrovo imbozzolato nel sacco a pelo con la testa dentro: lasciarla fuori vuol dire respirare aria fredda tutta la notte, anche con il buff sulla bocca e il cappuccio è pieno di ghiaccio che a ogni movimento s’infila nel collo.
Quindi mi tappo dentro e sto bene, dormo filato fino alle 5.

03/02/2018 Dog Grave Lake – Braeburn

Finalmente alle 6 ci dicono che possiamo partire previo controllo di dita, viso e dotazioni di sicurezza (piumino, funzionamento spot, fornello ed esca per il fuoco).
Con coraggio esco fuori e inizio a prepararmi, non vedo l’ora di togliermi da qui.
Smangiucchio qualche barretta e mi faccio preparare un termos di caffè oltre ai due di acqua.
Dopo i controlli sono fra i primi a partire alle 7,30.
Bello essere di nuovo in cammino, le gambe un po’ doloranti girano bene e ho voglia di andare.
Penso che a casa saranno contenti di rivedere il mio spot in movimento, chissà se sono arrivate notizie o si sono preoccupati per questo stop.
Supero i due davanti e mi godo questa pista ondulata in mezzo ai boschi.
Dopo quasi un’oretta mi raggiunge una motoslitta, si ferma e mi dice che deve riportarmi al CP.
Non è possibile, per fortuna in inglese non riesco a esprimere tutto il mio “disappunto” anche se quest’orso barbuto che guida la motoslitta lo intuisce chiaramente.
Non capisco nemmeno il motivo di questa scelta: o stoppano definitivamente la gara e ci evacuano (non so come) o dovrebbero cercare di farci sfruttare le ore di luce e più calde.
Mi rassegno e rientro in motoslitta, prendendo molto più freddo che durante tutte la gara!
Ci spiegano che è tutto fermo fino a nuove indicazioni da Robert.
Stanno provando il percorso da Braeburn (dove sono sotto i -50°) per vedere se le motoslitte possono garantire un minimo di assistenza, noi facciamo un conto del cibo di tutti per vedere se c’è da mangiare per un ulteriore giorno di permanenza qua.
Inizia a fare veramente freddo, soprattutto per questa finta partenza e per lo scarso calore diffuso dalla stufa.
Quando ormai sono rassegnato a un’altra notte qui, ci danno il via libera.
Tempo di riempire i termos, rifare i controlli e a mezzogiorno sono in pista.
E stavolta non mi fermano.
Un po’ il riposo e il cibo, un po’ l’incazzatura, dopo un’oretta prendo il mio ritmo e riesco a corricchiare.
Mi hanno preventivato di nuovo 14-15 ore di tempo ma, se è tutta così, dovrei essere più veloce.
A differenza dell’altro ieri oggi non cammino di notte in salita ma ho ancora qualche ora di luce e un percorso più corribile. E, soprattutto, stavolta si arriva e si chiude!
Con mia sorpresa l’iPhone ha ancora batteria quindi mi ritrovo a fare qualche foto e qualche ripresa.
Percorso bello, ambiente notevole… un po’ noioso si dovesse camminare, drittoni senza fine e senza panorama.
Anche oggi cerco di non sudare assolutamente: dal CP dove sono partito in piumino, man mano mi sono svestito per ritrovarmi in micropile e pile aperto.
La temperatura deve comunque essere bassa perché devo spesso togliermi il ghiaccio dalle ciglia che non mi lascia vedere attorno.
Davanti a me solo Jovica, per passare il tempo cerco di capire a quanto sia da me studiando dopo quanto ricompaiono le sue tracce cancellate dalle motoslitte che mi superano.
Non so se i ragionamenti siano corretti ma lo stimo a un po’ più di 30’.
Lo so che non si dovrebbe fare perché manda fuori, ma non posso non calcolare quanto manchi a Braeburn, a che ora arriverò, cosa farò appena arrivato.
Bisognerebbe godersi l’attimo e la corsa e ogni tanto –giuro- ci riesco.
Finalmente arriva il buio, mi accendo la frontale e indosso il piumino leggero.
Inizia a venirmi un forte dolore alla scapola da contrattura, dovuto sicuramente al traino della slitta. Veramente forte, infatti, mi fermo più volte cercando di rilassare il braccio (il freddo non aiuta) o mettendolo nelle bretelle dell’imbrago a mo’ di sostegno.
Alla fine mi prendo un Brufen sperando che la diminuzione del dolore mi aiuti a rilassare la muscolatura.
Ho fame, buon segno ma ho poca roba e soprattutto quasi tutta dolce (sogno cibi grassi e salati!).
Del mandorlato è difficilissimo togliere la stagnola (devo sfilarmi anche i sotto guanti) ed è talmente gelato da spaccare i denti.
Do fondo alle ultime due buste di carne secca che introduco in qualche modo in bocca tramite il passamontagna gelato, poi svariate barrette.
In effetti, correndo a questa temperatura il corpo –se sta bene- diventa una specie di caldaia che in un attimo brucia qualsiasi cosa se introduca!
Ormai notte su una pista corribile e pianeggiante: quando la spalla me lo consente corricchio.
Secondo me –se i chilometraggi sono corretti- dovrei arrivare fra le 22 e le 24.
Dopo una ripida discesa vedo delle luci di case: ci sono!
Posso aumentare velocità e sparare la frontale alla massima potenza per vedermi meglio attorno, anche perché quest’ultimo pezzo è su un lago gelato con pochi riferimenti se non i segni delle motoslitte sul ghiaccio.
Eccomi dalle case ma… non c’è nessuno, delle balise deviano subito prima e portano su un altro sentiero nel bosco.
Non è che sono tutti dentro e le balise sono per il successivo dei CP? Sto quasi per andare a controllare ma vedo le tracce di Jovica sul sentiero… un po’ deluso proseguo ma il CP non deve essere lontano.
Infatti dopo un paio di salite ecco la strada e altre luci, seguo le balise che mi portano dritte sotto il traguardo: sono le 22:10, è fatta, dopo 4 anni finalmente si taglia nuovamente un traguardo!
Parcheggiata la slitta entro in questa specie di rifugio in mezzo al nulla e sono accolto con entusiasmo dai volontari presenti.
Ci metto 10’ buoni per riuscire a scongelare la barba dal passamontagna fra l’ilarità di tutti… finalmente libero mi mangio il tanto sognato piatto di uova, bacon, patate, pane, burro e marmellata con birra.
Il Wi-Fi mi permette di leggere i messaggi degli ultimi giorni, seguire e immaginare cos’è successo a casa e comunicare con loro.
Mi dispiace un po’ tutto il trambusto creato e mi sembra anche esagerato: che diamine, c’è un’organizzazione, abbiamo spot, contatti continui, cellulari… no news, good news!
Capisco che di qua non mi muoverò fino a domattina, recupero materassino e sacco a pelo nella slitta e mi accampo fra i tavoli cercando di sonnecchiare.
Fuori siamo a -39°: mi sembra impossibile essere arrivato fin qui solo con il pile e il micro piumino!

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